A.N. Whitehead fu chiamato all’insegnamento
della filosofia ad Harvard (Cambridge –USA) nel 1924 alla veneranda età di
sessanta-tre anni, dopo essersi distinto come insegnante di matematica alla
Trinity College di Cambridge (Inghilterra) dal 1885 al 1911. L’appellativo di
ultimo dei neoplatonici dello stesso istituto fu attribuito a Whitehead dopo la
sua morte avvenuta nel 1947.
Come ha giustamente notato Marco Ciardi, (1) in
Whitehead “non ha molto senso separare in due o più momenti distinti le fasi della
sua carriera, che invece sono strettamente legate fra loro da una concezione
unitaria del sapere e della conoscenza.”
Quindi non c’è un preciso motivo di considerare
la critica che lui rivolge alla scienza come se questa stessa critica fosse il
frutto del cambiamento da lui operato nel suo stesso insegnamento che si
trasforma da matematico-logico a filosofico-metafisico negli anni della
maturità e della vecchiaia.
L’interiorizzazione del pensiero logico-matematico e scientifico degli anni dei “Principia Mathematica” (l’opera scritta a due mani insieme a B.Russel tra il 1910 ed il 1913) si farà sempre sentire nelle conferenze e nelle successive opere di Whitehead, ma questo non impedirà al matematico-filosofo di fare acute osservazioni sulla storia della filosofia della scienza e sull’insegnamento universitario delle discipline scientifiche e sulla crescente ‘specializzazione’ delle stesse scienze che potrebbero produrre menti ‘unidirezionali’.
L’interiorizzazione del pensiero logico-matematico e scientifico degli anni dei “Principia Mathematica” (l’opera scritta a due mani insieme a B.Russel tra il 1910 ed il 1913) si farà sempre sentire nelle conferenze e nelle successive opere di Whitehead, ma questo non impedirà al matematico-filosofo di fare acute osservazioni sulla storia della filosofia della scienza e sull’insegnamento universitario delle discipline scientifiche e sulla crescente ‘specializzazione’ delle stesse scienze che potrebbero produrre menti ‘unidirezionali’.
Ciò che invece veramente preme a Whitehead è
ridisegnare lo stretto rapporto tra ‘scienza’ e ‘natura’ - ai suoi occhi la
natura è stata ‘snaturata’ dall’astrazione operata dalle scienze - come lui
stesso fa notare in “The concept of nature”:
“Essere un’astrazione non significa per un ente non essere nulla. Significa semplicemente che la sua esistenza è solo un fattore di un più concreto elemento della natura. Così un elettrone è astratto perché non si può toglier via l’intera struttura degli eventi e tuttavia conservare l’esistenza dell’elettrone ….. Così la scienza non è un racconto fantastico: essa non ha il compito di inventare enti inconoscibili.
Le caratteristiche che la scienza
discerne nella natura sono difficili da cogliere, non ovvie a prima vista; sono
relazioni di relazioni e caratteristiche di caratteristiche.”
Questo ‘snaturamento’ che la scienza ha
prodotto nel corso degli ultimi quattro secoli, sfocerà in una critica al
concetto di materia, sostanza e spazialità che Whitehead considera non
essenziale per qualificare la 'realtà' degli oggetti:
Ogni pezzo di materia occupa un preciso
spazio …. Queste particelle di materia posseggono qualità proprie come la
forma, il suo movimento, la sua massa, il suo colore etc., …. Alcune di queste
qualità cambiano altre rimangono inalterate ….
Il cambiamento nella materia implica un
cambiamento nella relazione spaziale. Non implica nient’altro che questo. La
materia non implica altro che spazialità e supporto passivo delle qualità. Essa
può essere qualificata e deve essere qualificata. Ma la qualificazione è un
semplice fatto e nient’altro che questo. Questa è la magnifica dottrina della
natura come complesso di fatti autosufficienti e privi di significato. Ed è
questa la dottrina che in queste conferenze intendo smentire ….
Per Whitehead quindi la materia e lo spazio
si configurano come fattori secondari di analisi. Ciò che conta invece è il
processo nel quale sono inseriti i vari ‘oggetti’ della natura e le ‘relazioni’
organiche che si instaurano fra tutte le entità in gioco nel meraviglioso
intreccio fra Natura e Vita: non ha caso due conferenze del suo libro “I modi
del pensiero” prendono il nome di “Natura senza vita” (da cui ho estratto il
citato di sopra) e “Natura vivente” (da cui ho estratto il citato di sotto).
“E’ compito della speculazione filosofica
concepire gli avvenimenti dell’universo in modo da rendere intellegibile la
visione della scienza fisica e armonizzare questa visione con le persuasioni
dirette che rappresentano i dati fondamentali sui quali deve essere costruita
l’epistemologia …. Dunque come inizio approssimativo possiamo dire che la
nozione di vita implica una certa assolutezza di auto-fruizione: questo
significa una individualità immediata, la quale è un processo complesso di
appropriazione in una unità di esistenza, dei molti dati presentati come
rilevanti dai processi fisici della natura. La vita implica che
l’auto-fruizione individuale e assoluta sorga da questo processo di
appropriazione.” (2)
Ecco dunque delineato in questo concetto il sentiero sul
quale si muoverà tutto il pensiero Whiteheadiano: vita come fruizione
individuale e processo di appropriazione che abbraccia tutto e non come fattore
strettamente meccanico-chimico della natura del mondo o essenzialmente
spirituale, quindi relegato alla sola funzione dell’anima dell’uomo.
L’idea di un universo-macchina e di oggetti senza vita
dei quali studiare qualità e quantità, non basta a spiegare i fondamenti su cui
è fondata la realtà: occorre introdurre dei processi e stabilire delle
relazioni per comprendere il funzionamento del mondo. In questo senso le
relazioni tra anima e corpo, tra corpo e natura, tra anima e natura e le
occorrenze di esistenza corporea e dell’anima diventano, secondo Whitehead, ‘interconnessioni con una incredibile
caratteristica comune’: la funzione del mondo esterno diventa flusso di
esperienza che costituisce l’anima, quindi ‘emozioni,
propositi e piaceri non sono altro che reazioni
dell’anima a questo mondo che essa sperimenta… per esprimerci
sinteticamente diremo che in un certo senso il mondo è nell’anima’ … ma ‘c’è una dottrina opposta che compensa questa
verità … la nostra esperienza del mondo implica il presentare l’anima stessa
come componente interna al mondo. Perciò vi è un duplice aspetto nella
relazione, tra un’occasione di esperienza come un termine della relazione ed il
mondo espresso come altro termine di relazione … da un lato il mondo è incluso
nella relazione, e dall’altro l’occasione è inclusa nel mondo … la mia unità è
il mio personale processo attraverso il quale plasmo questa accozzaglia di
materiale in un modello coerente di feelings (3).
Note prima parte
(1) A.N. Whitehead - Natura e vita - a cura di Marco Ciardi (ed. Mimesis)
(2) Ibidem
(3) Ibidem
2014@jahro'
2014@jahro'
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